Quello che rimane
Storia di come in un pomeriggio di marzo ci è cambiata la vita e di tutti i mondi possibili che abitiamo ogni giorno
Ogni giorno abbiamo davanti a noi tanti futuri possibili ma solo uno alla fine si realizza davvero. A priori però non sappiamo mai qual è.
Questa frase parte dalla rielaborazione postuma di un incidente capitato ormai 3 mesi fa. Potrei stare qui le ore a piangermi addosso e l'ho fatto più volte in questi mesi ma in realtà questo blog nasce con un altro spirito. Da un po' di tempo a questa parte non riesco a trarre più diletto da tutte le attività che una volta mi aiutavano a sfogare le emozioni negative (disegno, canto...); l'unico modo che mi aiuta è la scrittura, sia sotto forma di prosa che di poesia.
Scrivere ciò che è capitato forse non sarà interessante ma serve alla mia anima per guarire. La mattina del 13 marzo, come tante altre mattine da due anni a questa parte, mi sono svegliata di fianco all'uomo che amo. Ero convinta che quella giornata sarebbe stata esattamente uguale a tutte le altre ma non è stato così: diversamente dagli altri giorni ad attendermi a casa solo la chiamata dell'ospedale per avvisarmi che il mio compagno aveva appena avuto un incidente.
La diagnosi: un'aritmia potenzialmente fatale che però si è risolta da sola, secondo i medici abbastanza fortunato da poterlo raccontare. Ed è proprio da questa diagnosi che si dispiegano tutti i futuri possibili di quel giorno o come sostiene Abed in Community le realtà parallele.
Di queste realtà parallele una è così spaventosa che mi tiene sveglia tutte le notti, nell'altra lo trovo a casa al rientro da lavoro e la nostra vita scorre come sempre inesorabile mentre la terza è proprio la realtà che stiamo vivendo piena di incertezze e paure ma è nel mondo del possibile.
Raccontare cosa sono stati questi mesi è impresa ardua e dolorosa perché quando viene a mancare la dimensione della progettualità e del futuro e rimane solo l'hic et nunc è come vivere in una gabbia. In questi mesi ho visto cose che vorrei cancellare per sempre dalla mia mente, i mostri nella mia testa sono tornati più forti che mai e mi sussurrano cose orribili, mi mostrano futuri terribili in cui non voglio abitare e mi chiedo perché questo destino sia toccato proprio a noi.
Sul futuro che ci è toccato di abitare percepisco gli sguardi degli altri che non possono capire il dolore che c'è nel fondo della mia anima; di quella domanda che avvelena il pozzo della mia mente "Perché a me?". Forse però è anche giusto che lo sguardo degli altri sia così. In fondo il dolore degli altri ci tocca sempre meno del nostro. Il nostro dolore ci urla cose spaventose mentre quello degli altri lo sentiamo come un'eco lontano.
Questo pezzo per ora non ha una conclusione vera e propria perché non ce l'ha neanche il futuro che stiamo abitando. Una cosa però mi ha dato conforto in questi mesi. La fisica ci insegna che la luce ha una velocità finita e che quando noi guardiamo il cielo notturno non lo vediamo com'è adesso ma com'era diverso tempo fa: il tempo che quella luce ha impiegato per arrivare fino a noi. Allora ho immaginato che ci fosse un punto nell'universo dal quale poter guardare qui fino al nostro Pianeta e vedere la nostra vita, così com'era prima: del tutto inconsapevole e spensierata.
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